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Earwig: Pause For The Jets

di RSK
 
Eccolo! L'ho trovato, finalmente. Dopo un anno di attesa, vana e di illusioni fugaci finalmente ho trovato il disco che fa perdere la testa. Fatta eccezione per i soliti noti, vedi Afterhours, infatti il 2016 per il momento aveva portato solo discreti album quasi tutti ascrivibili all'ondata del revivalismo infinito che sta saccheggiando la musica dei decenni andati, in questi tristi ultimi anni in cui il rock sembra relegato in secondo piano rispetto alla musica nuova. I Giovani, si sa, hanno sempre la ragione dalla loro quando si parla di 7 note, per cui mi è stato fatto notare che se non mi piacciono gli "artisti" che vanno per la maggiore è colpa mia, sono vecchio, non capisco. Infatti, non capisco, non capisco come si faccia a non saltare sulla seggiola ascoltando Pause For The Jets. Non capisco come si faccia a definirla musica antica, vecchia. Sarà forse perché questo simpatico combo di forbicine è in giro dai '90? Sarà perché la loro ricetta è semplice e consiste nel darci dentro come dei dannati? Mah. 
Di fatto i nostri eroi, originari di Columbus, Ohio, per inciso uno degli stati del Midwest che hanno tradito i democratici nelle recenti elezioni, ma poi trasferiti armi e bagagli nell'assolata California, sono già alla nona avventura discografica. Pause For The Jets infatti arriva dopo un EP due LIVE e cinque ALBUM. Il capobanda è un tizio, che si chiama Lizard McGee, che sembra il ragioniere della porta accanto e, come si vede anche dalla copertina, in generale non sembrano esattamente un terzetto di spericolati tossici dediti al sesso e al rock'n'roll. Non fatevi mai, e dico mai, ingannare dalle apparenze. 
Come ben recita la cartella stampa del gruppo gli Earwig sono uno dei segreti meglio custoditi dell'indie americano odierno e sono spontanei e spericolati. Insomma sono incredibilmente bravi! Ma dove si erano cacciati fino a ieri? Perché non avevo mai sentito parlare di loro? Eppure nei '90 era meno difficile perdersi nei meandri dei milioni di gruppi e gruppuscoli che nascono e muoiono tra un social network e l'altro oggigiorno. Domande senza risposte, ma nell'attesa di porre rimedio recuperando l'intera discografia disponibile mi sollazzo con quest'ultimo gioiello. 


Ten Second After: The Hecks, Syd Arthur, The Frightnrs, The Radio Dept.

di RSK

Nel mese dedicato ai Sex Pistols, nell'anno del Brexit non poteva che succedere quello che è successo. Che poi in fondo alzi la mano chi si fosse illuso che oltreoceano avessero messo la testa un filino a posto dopo otto anni di Barack Obama, primo presidente afroamericano e persona, insomma, minimamente normale in un sistema comunque guerrafondaio. Alzi la mano chi si fosse illuso che dalla terra dei cowboys presidenti sia di celluloide, come Ronny Reagan, che di fatto come i Bush, prima o poi non sarebbero arrivate sorprese all'altezza. E in fondo poi il tabù più grande, la sorpresa più grande, sarebbe stata vedere eletta non già Killary Clinton, il cui c.v. parla da sé, ma una donna! In un paese in cui misoginia e maschilismo travalicano evidentemente le classi sociali, le razze e le religioni. Ma poi noi stupidi cani dell'italico stivale che cazzo straparliamo a fare? Il nostro Mc Donald avvelenato ce lo siamo già ampiamente sorbito. Meglio stare zitti e pedalare che se di Medioevo si deve morire almeno sia un Medioevo con tanto fottutissimo Rock'N'Roll! Nel frattempo però niente di nuovo sul fronte occidentale. La musica continua ad essere la stessa e i pochi sussulti vengono centellinati nel tempo, sempre più dilatato. Verrebbe voglia di farsi prendere dalla foga e recensire tutti i 400 dischi ascoltati nelle ultime due settimane...mezza volta...a far tanto. Ma la musica va ascoltata e riascoltata un disco deve essere assimilato e digerito e se per caso oltre ai quattro che seguono ce ne fossero altrettanti di cui non abbiamo avuto voglia di approfondire la conoscenza, beh pazienza, sarà per la prossima volta.

REC: Recensioni Estive Canine

di RSK

In attesa che Seimani si riprenda dall'herpes epizootica che l'ha costretto a ritirarsi da tutte le scene e che anche quest'ennesima estate della nostra vita passi, vi proponiamo altri suggerimenti estivi per non farvi dimenticare che il tempo, senza la musica per decorarlo, sarebbe solo una sequela di scadenze produttive e di date in cui pagare le bollette, almeno così diceva il buon Frank Zappa.

ELIZABETH COOK: Exodus of Venus

L'amore per la musica country e soprattutto l'universo mondo che vi gravita attorno non è certo una novità per il sottoscritto. Ultimamente però, per motivi che sfuggono completamente alla mia comprensione, mi ritrovo ad ascoltarla sempre più spesso anche nelle sue varianti più discrete o meglio tendenti al pop (senza offesa). La parola d'ordine di questo disco è Nashville. Nashville non è solo ed evidentemente una cartolina o meglio un biglietto da visita eccelso nel mondo della musica ma anche un simbolo dell'industria musicale USA per eccellenza. Intorno a questo luogo mitologico muovono i fondamentali passi verso la gloria, centinaia di artisti, tra cui anche Elizabeth Cook, personaggio discretamente noto oltreoceano che pubblica qui il sesto album. In bilico tra l'easy listening e un rock chitarristico che non stride mai con la tipica voce country dell'artista. Al contrario stridono i pochi ma inevitabili passaggi souleggianti che interrompono un fluire convincente di un disco per pochi ma non per tutti. Sicuramente estivo. Astenersi perditempo, questo è country.


Ten Summer After: Dinosaur Jr, Gov't Mule, Neko Case, Laura Veirs, k.d. Lang

di RSK 

GIVE A GLIMPS OF WHAT YER NOT - Dinosaur Jr.

Il fottuto rock n' roll è morto. Viva il fottuto rock n' roll. E così in piena estate, in pieno trip da megaipersuperstra festival, quando i critici sono impegnati a prodigarsi in piroette improbabili per essere contemporaneamente in cento posti diversi e criticare a tutto spiano la fallimentare performance del vecchietto di turno, degli ex-sballoni di una volta o dei nuovi divetti del cazzo che dureranno due minuti e un quarto, i Dinosaur Jr. sfornano un disco nuovo. Così, giusto per non gradire, fuori stagione. Loro che fuori stagione lo sono sempre stati anche quando era il loro tempo, quello giusto; loro che il rock n' roll l'hanno sempre preso un po' in giro reinventando obliquamente dei canoni classicissimi sulla scia del Cavallo Pazzo e facendo di una passione un lavoro vero! Come solo nel mondo stelle e strisce è possibile. Loro che l'ultimo l'avevano pubblicato quattro anni fa e in mezzo soprattutto progetti solisti con un ottima prova di J.Mascis nel 2013 (recensione qui!). Loro che si erano estinti ancor prima di cominciare affibbiandosi un nome così. Loro che "chi gliel'ha fatto fare" ma in fondo loro, sempre loro, che "viva l'indie rock e i Pixies i Pavement e le Breeders" e tutta quell'ondata alternativa a cavallo tra gli '80 e i '90, miracolosa, irripetibile.
Loro perché no? Se il disco è bello! Ma se invece è brutto? Perché?
Secondo voi per i Dinosaur Jr. è più facile fare un bel disco o un disco brutto?
Ascoltatelo: i riff sono quelli giusti e sono parecchi; la voce di J.Mascis è sempre la stessa, per fortuna, così perfetta nella sua imperfezione lo-fi. Le canzoni pigliano immediatamente e fanno saltare scompostamente, ma senza lasciare quel gusto di retrò, segno che il genere è in salute e non è né vecchio né invecchiato. Un disco vitale, vivo, sghembo, parecchio accelerato. Ma perché dovrebbero essere Mascis e Barlow a inventarsi qualcos'altro di nuovo? Che cosa volete da loro? Che cosa volete da un "critico musicale" in pieno agosto?
Allora statevene buoni e tranquilli, se ci riuscite muovendovi al ritmo dei Dinosauri, alzate il volume e via. Non ve ne pentirete!


Radiohead - A Moon Shaped Pool (2016)

Se non siete più disposti ad ascoltare la musica, diteci almeno perché. Perché quello che prima aveva un senso improvvisamente smette di averlo e semplicemente cessa di esistere. Cosa succede realmente? Le molecole si dissolvono, si polverizzano e tutto ciò che fino a poco prima aveva un senso, quasi assoluto, non ne ha più? Non capisco. Io stesso sono parte di questo gioco, al massacro. Io stesso, mosso dalle migliori intenzioni, ho smesso di farmi le domande giuste e ho cominciato a dimenticare, lasciare alle spalle quello che prima era il mio tutto, il mio universo. Adesso non c'è più e non capisco perché. Definitivamente, è questo il nuovo medioevo, l'epoca dell'incomprensione assoluta del megafono che distorce tutto, ogni significato, ogni logica. I tasselli che fino a poco fa erano al posto giusto, sembravano al posto giusto, sono scoppiati, esplosi, dissolti nel nulla o meglio in qualcosa che sembra il nulla.
Ecco perché ci vorrebbe più tempo per capire, per giudicare, per comprendere. Ma invece nessuno è disposto ormai ad aspettare nemmeno un secondo. Ecco perché ci arrendiamo, mi arrendo. Mi rifugio nella caverna? No ripiego, scappo, vengo relegato nella caverna. Non posso uscirne, in alcun modo. La violenza, l'ignoranza, la fallacia, l'ignavia mi mantengono isolati alla ricerca della sopravvivenza. Il fuoco mi scalda, il ricordo mi mantiene in vita...almeno...fino...al crepuscolo.

di RSK

E così è accaduto l'inevitabile. I Radiohead non sono più, è ufficiale, la più grande e importante rock band del mondo. Semplicemente hanno smesso di esserlo. Un po' se la sono cercata, un po' è successo ciò che era inevitabile. Poco importa stabilire se è la musica che va stretta ai Radiohead se è questo mondo che non se li merita o se semplicemente hanno smesso di esserlo perché era naturale, era giusto così. Sono lontani i tempi delle rivoluzioni musicali, delle sperimentazioni intergalattiche, dei miracoli inattesi. Sono lontani i tempi dei capolavori popular che mettono d'accordo tutti (Ok Computer (1997) quasi 20 anni fa). Sono lontani i tempi dei capolavori assoluti (Kid A - Amnesiac dal 1999 al 2001). I Radiohead hanno segnato e si sono legati ad un epoca, travalicandola andando oltre, dimostrando che accontentarsi non è mai la strada giusta. Palesando un gusto e una sete unici per l'inesplorato, ciò che non si conosce. Nel 2016 essere e rappresentare tutto questo non è facile, per niente. Ecco perché un disco, un qualsiasi disco di questa grandissima band dell'Oxfordshire, oggi come oggi può, d'acchito, suonare come stantio, vecchio, perfino noioso. Sicuramente fuori moda. Ecco perché ci è voluto, giustamente e rispettosamente del tempo, prima di poter, a mente lucida o per niente lucida esprimere due o tre giudizi sul loro nono album: A Moon Shaped Pool.

Ten Years After: Kasabian, Tricky, Sonic Youth, Joni Mitchell, Buffalo Springfield

di RSK
Io vedo la musica
 come fluida architettura
 Joni Mitchell

KASABIAN: Empire (2006)

Sapete cosa c'è di più british di un disco dei Kasabian? Un altro disco dei Kasabian, almeno nel 21º secolo. Ed è sostanzialmente per questa ragione e non molte altre che si può apprezzare questa seconda folgorante prova di Pizzorno e soci. Un frizzante pop rock britannico scandalosamente fotocopiato dai migliori esponenti della grandiosa ondata britpop anni '90 con aggiunta dell'elettronica più ruffiana possibile, che da vita ad una miscela semplice semplice che riesce però a non risultare quasi mai pacchiana e soprattutto votata all'easy listening fine a se stesso anzi, si fa ampiamente perdonare grazie ad un attitudine rock che rimanda al meglio della cultura musicale made in UK. Soprattutto nella prima parte il disco rende omaggio ai maestri Oasis e Blur senza disdegnare incursioni verso i fratelli maggiori Stone Roses. Aleggiano, manco a dirlo, i fantasmi dei padri assoluti Beatles. Insomma un riassunto quasi enciclopedico frizzante e quasi mai noioso. Che fine ha fatto il pop rock britannico 10 anni dopo? Sicuramente per i Kasabian certi livelli se non sono risultati irripetibili, poco ci manca per Leicester invece, loro terra d'origine il 2016 passerà alla storia.


REC: Steve Gunn, Greys, Kevin Morby, White Lung, PJ.Harvey

di RSK
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare»
 (Jack Kerouac, Sulla Strada)

STEVE GUNN: Eyes on The Lines

La musica di Steve Gunn è senza tempo, non accenna a cedere di un passo alle rughe da molte lune apparse sui volti dei più importanti, storici e sopravvissuti esponenti del genere. La musica di Steve Gunn è da sempre e per sempre giovane sia perché lui è giovane sia perché è immortale. La musica di Steve Gunn è un fantastico e freschissimo mix di psichedelia, country e folk che esplode nella testa e rimanda immediatamente ai bei tempi di Sua Maestà Jerry Garcia e i suoi inimitabili Grateful Dead oppure all'inarrivabile magia del rock hippie di David Crosby e tutti i suoi sodali: da Steve Nash passando per Neil Young fino alla Band di Bob Dylan e per un certo periodo anche quei mattacchioni degli Stones. Insomma che volete di più? Se ci mettete inoltre che l'ex chitarrista di Kurt Vile con la sei corde ci sa fare alla grande e di conseguenza non si limita a scopiazzare ma a rilanciare uno stile glorioso...accorrete numerosi al suo cospetto e quello di Eyes On The Lines.


Afterhours: Folfiri o Folfox (2016)

di RSK 
E tu sei da sempre un ribelle ma
morirai per un protocollo sai
Folfiri o Folfox


Folfiri e Folfox: 1ª settimana. Una settimana di ascolti, di repeat, di loop, di ossessione, la solita fantastica ossessione che mi accompagna dal 1997 quando con l'uscita dell'epocale Hai Paura del Buio anch'io mi accorsi dell'esistenza degli Afterhours, fino ad allora solo distrattamente bazzicati con il precedente, era il 1995, Germi. Una settimana sarà anche poco ma almeno io il disco lo sto ascoltando.

Folfiri e Folfox come sempre, come tutte le volte entra in sordina nelle mie orecchie e nella mia vita, da una porta laterale, in mezzo alla solita distrazione generale e confusione parziale. Comincia a entrare nella testa attraverso la voce di Manuel, gridata, incazzosa o rallentata e riflessiva. Praticamente, ormai, uno di famiglia che ti porta per mano alla scoperta di un disco che, come di consueto, richiede ascolti attenti e ripetuti prima di svelarsi e farsi apprezzare per quello che è. 

Thom Yorke, The Delgados, Billy Bragg, Genesis e The Yardbirds - Ten Years After

di RSK 
Uomini futuri! Chi siete? 
Eccomi qua, tutto dolori e lividi. 
A voi io lascio in testamento 
il frutteto della mia anima.
Vladimir Vladimirovič Majakovskij

THOM YORKE - THE ERASER

Non so se lo sapete, ma il nuovo disco dei Radiohead è appena uscito e già le recensioni del disco sono vecchie, anzi non ci sono nemmeno visto che il tutto sembra essersi consumato ancor prima dell'ascolto del disco con la "trovata" della sparizione del gruppo da tutti i social network che per i media di oggi è più o meno un incomprensibile atto di lesa maestà. Appena dieci anni fa però quando ancora l'epidemia di facebook non si era diffusa Thom Yorke pubblicava The Eraser, un disco solista, il suo primo disco solista, i cui confini con il gruppo madre risultavano quantomeno complicati da individuare. Thom Yorke non è infatti solamente il vocalist del gruppo ma una delle più importanti menti pensanti nonché il principale fautore della creazione dello stile dei Radiohead e della sua evoluzione. Ecco perché alla sua uscita The Eraser fece tanto rumore; in realtà non si trattava né di un tentativo di indipendenza artistica né di avvisaglie di separazioni mai realmente prese in considerazione della band. Si trattava evidentemente di una necessità artistica e forse anche commerciale. Morale della favola? Sono passati 10 anni e il disco può tranquillamente essere preso in considerazione per determinare l'evoluzione artistica e stilistica nella voce e nei flussi musicali del leader di una, se non l'unica, delle grandissime realtà del rock del nuovo millennio. Il disco gioca com'è facile intuire sul timbro vocale del protagonista qui già in preda ai mugolii e ai sospiri e alle divagazioni elettroniche e psycho jazz che avevano del resto già segnato l'evoluzione della band da Ok Computer fino a Hail To The Thief che nel 2006 era l'ultimo disco in uscita della band. Se, come sembra evidente, l'ultimo A Moon Shaped Pool segna un ulteriore passo in avanti o in là nelle metamorfosi artistiche di quelli dell'Oxfordshire lo si deve anche a dischi di passaggio come questo.  Storiografico.


Ten Second After: Nada Surf, Black Mountain, Bleached, Erich Bachmann

di RSK 
La musica ha un grande potere: 
ti riporta indietro
nel momento stesso in cui ti porta avanti, 
così che provi, contemporaneamente, 
nostalgia e speranza.
Nick Hornby

NADA SURF - YOU KNOW YOU ARE 

I Nada Surf hanno sempre fatto la loro bella e porca figura nel variegato universo-mondo dell'alternative; certo come tutti, anche loro hanno dato il meglio di sé negli splendenti '90, recitando il ruolo di discreti sparring partner in un'epoca piena di fuoriserie. Sul finire degli anni '00 il loro karma sembrava indirizzato decisamente verso un malinconico tramonto, vicino all'oblio. Ma se oggi siamo qui a parlare di questo disco evidentemente non è solo perché non ci sia niente di meglio. You Know You Are infatti, fuori da qualsiasi giudizio critico-musicale, conquista, ascolto dopo ascolto, per l'onestà e la schiettezza con la quale ci presenta una musica desueta da almeno un ventennio, o per dirla meglio, passata di moda. Una musica che si appella ad aggettivi come: solare, ottimista, divertente e malinconico e lo fa senza un minimo di vergogna. Ebbene no! Il risultato che, inizialmente fa storcere il naso, in realtà conquista ascolto dopo ascolto e strappa applausi, sorrisetti e quant'altro, facendoci battere i piedi sotto il tavolo o le mani sul volante. Ed ecco allora che i Nada Surf,  un po' come il vecchio pugile, che con un ultimo colpo di coda, prima di appendere i guantoni al chiodo sfiora l'impresa in un ultimo incredibile incontro, si fanno benvolere e amare forse come non mai. Stilisticamente si buttano a capofitto verso quei soleggiati lidi californiani dove il Surf è tutt'altro che Nada ricordandoci certe sonorità easy listening: Cold To See Clear o Friend Hospital solo per citarne due. 
Poi  però si ricordano di essere figli della grande mela e sfornano ritmi degni degli eterni Yo La Tengo: New Bird, Out Of The Dark e soprattutto Gold Sound. In definitiva un miscuglio invitante di alternative con chitarre e ritmo nel sangue, che mette di buon umore...senza vergogna e rischia di essere uno  dei dischi più avvincenti dell'anno.


Ten Second After: Thao & The Get Down Stay Down, Iggy Pop, Motorpsycho, Grant Lee Phillips

di RSK

THAO & THE GET DOWN STAY DOWN: A MAN ALIVE

Thao Nguyen è un'artista californiana di origine vietnamita. Fino all'altro ieri totalmente presa dal folk e dal suo credo. Voce, sopraffina, e chitarra. Punto. Poi un giorno, come nelle migliori favole, l'incontro con i The Get Down Stay Down e il cambio, quasi radicale. Rimane la voce sopraffina ma appaiono anche gli alambicchi, le macchine. Oggigiorno si sa con l'elettronica si può fare quel che si vuole ed ecco che grazie all'apporto di Adam Thompson, Frank Stewart e Willis Thompson ne esce fuori un miscuglio inclassificabile e inconsueto degno del miglior Beck. Dal folk, all'hip hop passando per certo rock alternativo alla Breeders con una disinvoltura disarmante. Il disco scorre via così da una canzone all'altra, visto che alla fine sono le canzoni che contano. Dal ritmo sincopato sempre più incalzante di Astonished Man, al rock noise di Nobody Dies, un pezzo che trascina, passando per Guts di cui sarebbe orgogliosa Eddie Brickell, fino alla conclusiva Endless Love non ci si annoia un secondo e si arriva in fondo sempre più convinti che al giorno d'oggi non conti più il genere musicale o il mood ma solo l'ispirazione e la capacità di scrivere buona musica. In fondo è sempre stato così, non credete?
voto: 8,5


Ten Years After: Cat Power, Beth Orton, Zakir Hussain, Led Zeppelin, The Beatles

di RSK

Ormai mi muovevo come un uomo braccato
 dall'orologio e dall'orrido avanzare del numero. 
Il Pendolo di Foucault
Umberto Eco 
 
Sembra impossibile ma sono già passati dieci anni (dal 2006). Quante volte mi è capitato di pensare e di scrivere queste parole in questa rubrica? Ma mai come ora mi stupisco vedendo che uno dei più bei dischi di una delle artiste più amate da noi cani, già Dio del Mese, compie i due lustri giusto quest'anno.
The Greatest è un cult già al primo ascolto, figuriamoci a distanza di tanto tempo, è un cult soprattutto per merito di una voce fantastica e di un interprete sublime quale Chan Marshall che qui, per la prima volta scrive tutte le canzoni e collabora con molti artisti soul di Memphis. 
Ne esce fuori un concentrato di folk blues, ispiratissimo, senza tempo. Certo, i più esigenti, o gli innamorati pazzi della prima ora, rimpiangeranno la scapestrata e sbarazzina anima rock di Cat Power soprattutto quella dell'inarrivabile You Are Free. Ma cambiare, restando sé stessi, sembra essere l'ossessione della cantautrice di Atlanta (Sun è lì a dimostrarlo) che qui oltretutto sembra volersi divertire con la musica e la storia della musica. Per tutti i cani adoranti un disco da riscoprire, nel decennale; per gli ignavi ignari della grande bellezza di Charlyn un'occasione d'oro per porre rimedio scoprendo The Greatest.


Ten Second After: Mass Gothic, Turin Brakes, Bert Jansch, DIIV

di RSK

Monasterium sine libris est sicut civitas sine opibus, castrum sine numeris, coquina sine suppellectili, mensa sine cibis, hortus sine herbis, pratum sine floribus, arbor sine foliis... 

Che possibilità ci sono che il Rock, caro vecchio Rock, torni ad essere protagonista nella scena musicale indie di oggi? Domanda da perderci il sonno. La risposta è complessa ma bisogna constatare che la musica indie oggi come oggi ha preso centomila direzioni diverse allontanandosi sempre più da quello che nel secolo scorso consideravamo all'unanimità rock. Prendete per esempio questo disco d'esordio: Noel Heroux del Massachusetts si accasa alla Sub Pop, cioè non so se rendo, e presenta questo omonimo chiamato Mass Gothic. Impossibile dire che ci sia dentro del rock ma molto limitante sarebbe definirlo un disco pop. Semplicemente ormai i miscugli di generi, i rimandi ai quei gruppi o a questi periodi musicali sono talmente tanti e sfaccettati da rendere sfuggente una qualsivoglia definizione. Qual è il metro di giudizio di un povero "critico" rimasto ancorato alle vecchie mode dunque? Direi la creatività. Ed ecco che allora la creatività vince alla lunga sulle seghe mentali. Per questa ragione Mass Gothic è un disco piacevole e che non annoia mai. Certo, leggermente innamorato di certo electro-pop anni '80, anche di quello un po' cazzaro, ma che riesce sempre a stupire. In Soul per esempio affiora una psichedelia britannica d'antan, non facciamo nomi per carità, mentre Nice Night fa fede all'aggettivo del titolo e in più ci rimanda a certo rock alla Smashing Pumpkins. Perché infastidirsi dunque se Noel Heroux ha deciso di non darci punti d'appoggio ma piuttosto di portarci in giro per i diversi accenti dell'indie d'oggi?


Ten Years Returns: Isobell Campbell, Mark Lanegan, Rolling Stones, Dead Kennedys, Frank Zappa, Belle & Sebastian

di RSK
Anno bisesto
    attacco massivo
 Proverbio Musicanide
 

ISOBELL CAMPBELL & MARK LANEGAN: Ballad Of The Broken Seas

Nel 2006 inizia uno dei sodalizi più strani e accattivanti della musica rock dei nostri giorni. Quello tra un crooner d'eccezione come l'ex Screaming Trees, Mark Lanegan, considerato a torto o a ragione come una delle icone del rock alternativo a stelle e strisce degli anni '90., riconoscibile grazie all'inconfondibile timbro vocale profondo e a volte cavernicolo e per le numerose collaborazioni in gruppi e dischi che contano: dai Mad Season fino a QOTSA.
E tra la gentile e amorevole ex violoncellista dei Belle & Sebastian, Isobell Campbell, scozzese, eterea o sublime come vocalist di un gruppo nel quale e grazie al quale aveva fatto la storia sul finire dei '90. 
Ballad Of The Broken Seas risulta così una specie di esperimento. Piacevole, a tratti irresistibile ma forse un po' incolore e insapore alla distanza. Il tentativo è quello di mettere insieme la Bella e la Bestia della musica alternativa. Alla fine è però lo stile e l'appeal del folksinger di Washington a prevalere sulla leggadria a dire il vero un po' ruffiana della dolce musa di Glasgow che il meglio di sè, fuori dal gruppo, l'aveva dato nel 2003 con l'imperdibile Amorino.
Un disco in definitiva in cui si salvano molti episodi notevoli, citeremo l'iniziale Deus Ibi Est, Ramblin' Man, Dusty Wreath ma che ascoltato a distanza di un decennio non giustifica standing ovation nè tantomeno bis o tris. Ma noi, oh, stiamo solo cercando di separare la crusca dalla farina, non prendeteci per oro colato!


Parola d'Ordine: Attacco Massivo!

Di Maurisio Seimani, DJ Macionela, RSK.


Esistono grandi gruppi e grandi album. E poi c' è qualcuno che riesce ad andare oltre. Esistono cioè gruppi la cui comparsa lascia fin da subito segni indelebili nella storia della musica, opere che riescono a segnare un solco netto fra il prima e il dopo, nel quale tutti gli altri si ritroveranno volenti, o nolenti, ad inciampare. I Massive Attack apparvero sulle scene nei primi anni 90 esattamente con questo piglio, quello proprio di chi sa perfettamente che con quanto sta facendo sta lanciando "il boccino" un po' più in là.  Lascio dunque qui sotto la loro celebrazione quale DIO DELL'ANNO agli esimi cani d'attacco DJ Macionela e RSK, per ripercorrere le avvincenti tappe di un cammino musicale incendiario, ben sintetizzato fin dalle origini già dal nome stesso che il Dio ebbe a darsi. E allora, se attacco massivo fu, che attacco massivo sia!
Un buon anno a tutti i Musicanidi,
Maurisio Seimani

Musicani Awards 2015

a cura di RSK, introduzione di Frank Pozzanghera

Amici canidi ben ritrovati. Come ogni anno s'è infine fatto il momento di arrivare al nocciolo della questione. Qualcuno scriverebbe "di tirare le somme", ma non si vede che somme si possano tirare in un'epoca come questa in cui qualsiasi cosa finisce per moltiplicarsi pressochè all'infinito. Ormai le uscite musicali superano per numero di pubblicazioni perfino l'incremento demografico di Shangai, mentre le relative recensioni stanno sovraccaricando tanto la rete che se un giorno il web se ne andrà tutto gambe all'aria sapremo il perchè (noi stiamo dando il nostro contributo del resto). 
Stante questo, quest'anno noi musicanidi abbiamo deciso di precedere per sottrazioni. Tre dischi a testa per ogni collaboratore del blog e fine, poi tutti a casa. Manca questo, manca quell'altro? Manca quel disco bellissimo di coso, come si chiama, quello che vi ha consigliato il vostro amico? Bene. Chissenefrega. Buone feste. (Frank Pozzanghera)

Il Classificone 2015: vademecum per (non) perdersi nel meglio dell'anno.

Rock, post rock, indie rock, country rock, alt., punk, psichedelia, reggae, hip hop, metal, pop, funk, folk rock. Musica nostrana e straniera. Grandi ritorni e esordi folgoranti. Vi siete persi qualcosa? Volete regalare un buon disco ma non sapete quale? La redazione di Musicanidi vi propone al gran completo i titoli e le migliori recensioni del 2015.

 La redazione di Musicanidi.


MAURISIO SEIMANI

Ten Years After: Radar Bros, Red House Painters, Kate Bush, Black Sabbath, The Animals

di RSK
Si stava meglio
quando si stava meglio
 Anonimo

 RADAR BROS. (2005)

Radar Bros. Con il punto o senza il punto oppure nella dicitura completa: Radar Brothers. Comunque li si voglia chiamare sono sempre loro; californiani, di Los Angeles, creature dei sogni, spintisi fino al XXI secolo grazie agli sforzi alterni di Jim Putnam, figlio d'arte. Un'idea romantica ed eterea della musica si incontra con l'indie in voga negli anni '90, decennio che da i natali al gruppo che, secondo i miei gusti, da il meglio di sè nel 2002 con il precedente, imperdibile ...And Surrounding Mountain. Questo The Fallen Leaf Pages pur essendone una continuazione e non discostandosi troppo stilisticamente parlando dal predecessore mostra una certa mancanza di smalto soprattutto al netto dei singoli pezzi. Preso per intero il disco infatti continua a risultare un piacevole mix di low-fi malinconico e beach boys sound al rallentatore, molto al rallentatore, di psichedelia à la Summer '68. Fotografie scolorite di un tempo che fu. Il problema è l'assenza di singoli di peso come nel precedente ma continua ad essere un buon modo per fare conoscenza di un gruppo di cui non potrete far altro che innamorarvi. Buon viaggio.


The Smashing Pumpkins, che tristezza il Dio Del Mese!

di RSK
"The world is a vampire, sent to drain 
Secret destroyers, hold you up to the flames
 And what do I get, for my pain
 Betrayed desires, and a piece of the game"

Molti sono gli esempi di gruppi o cantanti giunti al massimo del successo, sulla cima e rovinosamente caduti. Senza un perché, senza un pretesto o una spiegazione. Gli Smashing Pumpkins da Chicago sono un lampante esempio di quel meccanismo a volte crudele che fa si che un artista venga idolatrato tanto rapidamente quanto dimenticato un secondo dopo. Forse la spiegazione è legata alla figura importante, singolare e enigmatica del leader, fondatore e factotum della band: Billy Corgan. Una figura di spicco per il rock anni '90 talmente importante da far diventare la sua creazione da un "semplice" gruppo rock che si forma dall'incontro tra Billy Corgan, James Iha e D'Arcy Wretzky, a cui si aggiunge presto il batterista jazz Jimmy Chamberlin a una delle più importanti realtà dell'epoca.

Ten Years After: Leggende dal Passato

di RSK

Akron/family & Angels Of Light (2005)

All'inizio di tutto, all'inizio della loro storia, prima di rovinose cadute e tribolate risalite che hanno permesso agli Akron/Family di pubblicare, non più tardi di un paio di anni fa, l'ottimo Sub Verses (2013), i newyorkesi paladini di certo folk rock sghembo e malaticcio sfornarono questo gioiello in compagnia della one man band di Michael Gira anch'esso degno rappresentante artistico della grande mela. Nato a margine di un tour live  Akron/Family & Angels Of Light è una scommessa vinta in pieno. Una scommessa che partendo dal già citato approccio folk riassume lo spirito del rock/noise alternativo mescolandolo con il jazz e la musica post psichedelica. Un disco che spiazza continuamente lasciando alla fine un leggero senso di straniamento soprattutto quando si arriva alla traccia 8 e il vocione Laneganiano di Michael Gira attacca I Pity The Poor Immigrant tratto dall'album John Wesley Harding di Bob Dylan. Pubblicato nel 1967 in un epoca in cui il menestrello di Duluth torna a far pace con la musica folk acustica in quella lunga e prolifica stagione insieme alla Band che, tra le altre cose avrebbe portato alla pubblicazione dei Basament Tapes nel 1975 (vd qui sotto). Un disco nettamente diviso in due, così voluto per distinguere il sound delle due band. Un disco che arriva in un periodo in cui sperimentare sembrava fosse l'unica strada rimasta per il rock del nuovo secolo. Da non dimenticare.