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Bone Machine: Tom Waits - Colpo di Fulmine

di Maurisio Seimani

Tom Waits - Bone Machine


"What does it matter,
a dream of  love or a dream of lies...
We're all gonna be in the same place
when we die."

Comprai Bone Machine esattamente quando venne pubblicato, nel 1992. Versione musicassetta. All'epoca il sottoscritto aveva 17 anni. Era il primo disco di Tom Waits che mi fosse mai capitato di ascoltare e ricordo come venni subito folgorato appena schiacciai il tasto play del mio mangiacassette Philips. L'album sembrava davvero registrato in qualche girone sporco dell'inferno, ma un'inferno nuovo però, pulsante, metropolitano, lontano anni luce da quell'inferno dantesco che ci facevano ripetutamente studiare al liceo. Da dove arrivavano quei suoni, come avevano fatto a registrarli in quel modo? La ritmica dell'iniziale Earth Died Screaming sembrava davvero un mucchio d'ossa che avanzava rotolando a valle da qualche montagna oscura, All stripped down pareva sul serio eseguita col contributo di un coro di demoni ridacchianti richiamati dall'Ade e The ocean doesn't want me today aveva davvero il piglio di una lettera spedita da un fantasma. E che dire della provocante marcia funebre Dirt in the ground, dell'aria assassina di Murder in the red barn, della landa desolata di Jesus gonna be here, fino alla splendida Black Wings, velenosa come una partita a scacchi giocata con Satana in persona. E nel tutto la voce cavernosa del profeta Waits, sempre pronta a spalancare i timpani come una mannaia.

Ten Years After: Radiohead, Patty Pravo, Brian Wilson, Beach Boys, Tom Waits, The Smashing Pumpkins

di rsk

2003: Radiohead  - Hail to The Thief


Come gia' chiarito dall'immondo Seimani a suo tempo, quanti hanno sogghignato e piu' o meno segretamente goduto per la stroncatura forse nemmeno eccessiva dell'ultima fatica dei Radiohead (Kings of the Limbs) non hanno diritto di cittadinanza su questo blog! Per due buone ragioni: la prima e' che nella migliore delle ipotesi costoro sono i classici critici "cazzoni" che devono per forza sbavare dietro alle novità come se un gruppo "valesse" solo per il tempo in cui esce e i dieci minuti successivi e la seconda e' che si tratta di smemorati che hanno gia' dimenticato la quantita' di capolavori ancorche' recenti che i 5 dell'Oxfordshire hanno lasciato alla storia della musica.
Hail to The Thief ha gia' sulle spalle un decennio. Minchia! Un disco epocale in realta' non invecchia...e questo disco lo dimostra. Extraufficialmente dedicato al paese della Libertà, e al "furto" elettorale di quel cowboy alcolizzato che risponde al nome di georgeWbush, che nella sua lunga carriera di Presidente degli Stati Uniti d'America (e' la democrazia, bellezza!) ha dichiarato guerra all'Iraq e all'Afghanistan rendendosi responsabile di centinaia di migliaia di morti oltre ad essersi circondato di amicizie quantomeno criticabili (vd.foto), "Osanna al Ladro" segna il ritorno del gruppo alla forma canzone dopo la svarionante e magnifica parentesi di Kid A e Amnesiac. Un disco pieno di gemme preziose che consolida lo stato di grazia della piu' grande band degli anni '00. Difficile scegliere; nel dubbio consiglierei di cominciare con 2+2=5 e non interrompere l'ascolto fino a A Wolf at The Door, ne vale la pena.

Bad as Me - Musicanidi di Maurisio Seimani: Tom Waits, Dead Skeletons

Bad as me


a cura di Maurisio Seimani
Vi piacciono? Non vi piacciono? Poco importa, tanto la sostanza non cambia: canzoni costruite in quel modo, cantate in quel modo, e suonate in quel modo, le sa fare veramente soltanto lui. Tom Waits, classe 1949, una carriera semplicemente straordinaria, un personaggio unico e probabilmente irripetibile nel panorama della musica cantautoriale mondiale, enorme performer dal vivo, giunto ormai al suo 22 album, è qui ancora una volta per ricordarcelo. “Bad as me” è semplicemente la quintessenza del suo stile, un classicissimo album alla Tom Waits, che si divide tra pezzi sostenuti, dove l’ usuale ritmica sghemba sostiene fiati taglienti e ululati sguaiati (Chicago, Get Lost, Bad as me) e alcoliche ballate che si (ci) trascinano alla deriva come solo certi bei bicchieri di buon whiskey invecchiato sanno fare (Talking at the same time, Face on the highway…). Null’altro in particolare da sottolineare su quest’ opera, dunque. Semplicemente, un’ altro bell’ album di Tom Waits: più in forma che mai, più pazzo che mai, più cattivo che mai. Il Dio della Musica ci preservi queste bestie rare in via d’ estinzione.

In una parola: unico.
Giudizio: 4 palle.


Dead Skeletons
Dead Magik
Giuro: in questo caso non so davvero da che parte cominciare. Intanto posso solo invitarvi a cliccare il video riportato qui sopra e farvi travolgere dalla folle proposta di questo misterioso trio islandese, spuntato fuori all’ improvviso da chissà dove, e diventato immediatamente oggetto di culto negli ambienti più alternativi ed underground d’oltremanica. Dead Magik è un album indescrivibile. Impossibile renderne il senso senza ricorrere a metafore che possano in qualche modo spiegarne il bizzarro contenuto musicale. Immaginatevi dunque un fiume in piena che si porta appresso, in un unico caos roboante, cocci e carcasse della psichedelica dei primi Grateful Dead, il noise dei Velvet Underground, dei Jesus and Mary Chain e dei Sonic Youth, viaggi sonori alla Chemical Brothers e spiritualità eterea alla Sigur Ros (portata però dal paradiso all’ inferno)…il tutto incanalato in martellanti ritmiche tribali e scandito da esoterici mantra vocali che ossessivamente ripetono messaggi codificati ed apocalittici, ora in lingua inglese ora in islandese (“Chi teme la morte non apprezza la vita” si ripete per esempio ossessivamente in Dead Mantra, il brano qui riportato).

Sicuramente, insomma, una delle proposte più originali degli ultimi anni ed uno degli esordi più originali che mi sia dato ricordare, che trova forse il suo limite in un’ eccessiva prolissità, che rende il suo ascolto dall’ inizio alla fine veramente (volutamente?) un po’ ossessionante. Ad ogni modo, un esperienza a tratti stupefacente.
In una parola: esoterico.
Giudizio: 3 palle e mezza.


Dente – Io tra di noi 
Bugo – Nuovi rimedi per la miopia
Ci piace inserire nella nostra rubrica artisti italiani, quando c’è un buon pretesto per parlarne. E senz’altro le due nuove uscite dei cantautori Bugo e Dente lo sono. Il primo (foto a lato) è ormai considerato un riferimento “storico” del cantautorato indie del nostro paese; il secondo, portato in palmo di mano da tutta la critica specializzata, ne è sicuramente il maggior riferimento attuale. Detto questo, a me sembra che anche questi due dischi pecchino dello stesso difetto comune a quasi tutte le opere cantautoriali uscite negli ultimi anni in Italia: quello cioè di tendere irrimediabilmente al discreto. E così, ancora una volta, ci si trova di fronte a due lavori che, pur evidenziando l’innegabile talento di entrambi gli artisti, e pur facendosi piacevolmente ascoltare, a conti fatti non convincono fino in fondo. A conti fatti si finisce sempre per innamorarsi di qualche canzone, per apprezzarne qualche spunto, si finisce anche per provare una certa simpatia per gli autori, ma…sostanzialmente l’ ascolto complessivo dell’ opera non lascia né particolarmente colpiti, né particolarmente soddisfatti.
Insomma, se mi si permette l’esempio: se Dente (col nas da paiaso, nella foto a lato, ndC) è oggi considerato l’ esponente più completo del nostro cantautorato nazionale, allora arrivo a dire che se emergesse di questi tempi un Fabio Concato verrebbe probabilmente considerato un genio. E non che Fabio Concato fosse il peggio del peggio, per carità, però (se si pensa a una tradizione che in passato ha prodotto artisti del calibro di De Andrè, Battiato, Conte, De Gregori, per citarne alcuni) è tutto dire.

In una parola: discreti.
Giudizio: 2 palle e mezza.