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REC: Steve Gunn, Greys, Kevin Morby, White Lung, PJ.Harvey

di RSK
«Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»
«Dove andiamo?»
«Non lo so, ma dobbiamo andare»
 (Jack Kerouac, Sulla Strada)

STEVE GUNN: Eyes on The Lines

La musica di Steve Gunn è senza tempo, non accenna a cedere di un passo alle rughe da molte lune apparse sui volti dei più importanti, storici e sopravvissuti esponenti del genere. La musica di Steve Gunn è da sempre e per sempre giovane sia perché lui è giovane sia perché è immortale. La musica di Steve Gunn è un fantastico e freschissimo mix di psichedelia, country e folk che esplode nella testa e rimanda immediatamente ai bei tempi di Sua Maestà Jerry Garcia e i suoi inimitabili Grateful Dead oppure all'inarrivabile magia del rock hippie di David Crosby e tutti i suoi sodali: da Steve Nash passando per Neil Young fino alla Band di Bob Dylan e per un certo periodo anche quei mattacchioni degli Stones. Insomma che volete di più? Se ci mettete inoltre che l'ex chitarrista di Kurt Vile con la sei corde ci sa fare alla grande e di conseguenza non si limita a scopiazzare ma a rilanciare uno stile glorioso...accorrete numerosi al suo cospetto e quello di Eyes On The Lines.


Air Force One

di The Wildcatter

Un cronista del Washington Post scopre che alcune delle sue parole, dette mentre accompagnava con la sua macchina, in giro per i sobborghi della capitale statunitense, un amico fotografo e una, a lui sconosciuta, donna inglese, sono finite prima in un libro sotto forma di poesia a commento di una fotografia e poi in un disco sotto forma di testo di una canzone rock. [tutta la storia qui

Capita infatti che esca un video.
Il video parte con l’immagine di uno specchietto retrovisore che riflette l’immagine di un paio di occhiali da sole, dietro cui il cronista in questione si riconosce. 
Scopre anche che la sua voce è stata utilizzata come introduzione alla canzone. Chiede di poter parlare con quella donna inglese, curioso di capire come sia stato possibile che le sue parole siano state “usate” in un processo di elaborazione artistica con una rilevanza, di fatto, mondiale. 
Sì, perché la sconosciuta donna inglese non è altri che PJ Harvey
Riceve un secco no alla sua proposta. 

Il cronista del Washington Post in un certo modo si è trasformato da strumento per sviluppare un progetto che ha visto impegnati per più anni PJ Harvey e Seamus, un fotografo di guerra, tra Kosovo, Afghanistan e, appunto, Washington DC a piccolo protagonista a sua insaputa del progetto medesimo. 
L’uscita del video della canzone fa nascere anche un po’ di malcontento: il cronista segnala alcune lamentele di alcuni gruppi di abitanti di Washington DC per l’immagine della città che da esso traspare. Sembra per di più il frutto di un giudizio negativo elaborato da una donna che non è mai scesa da una macchina e che ha semplicemente appuntato su un giornale le frasi “migliori” del suo Cicerone, sfruttandone interamente una per l’incalzante finale della canzone che deve “tirare la volata” per il disco in uscita (they’re gonna put a Wal Mart here, they’re gonna put a Wal Mart here).

Ten Years After: Leggende dal Passato

di RSK

Akron/family & Angels Of Light (2005)

All'inizio di tutto, all'inizio della loro storia, prima di rovinose cadute e tribolate risalite che hanno permesso agli Akron/Family di pubblicare, non più tardi di un paio di anni fa, l'ottimo Sub Verses (2013), i newyorkesi paladini di certo folk rock sghembo e malaticcio sfornarono questo gioiello in compagnia della one man band di Michael Gira anch'esso degno rappresentante artistico della grande mela. Nato a margine di un tour live  Akron/Family & Angels Of Light è una scommessa vinta in pieno. Una scommessa che partendo dal già citato approccio folk riassume lo spirito del rock/noise alternativo mescolandolo con il jazz e la musica post psichedelica. Un disco che spiazza continuamente lasciando alla fine un leggero senso di straniamento soprattutto quando si arriva alla traccia 8 e il vocione Laneganiano di Michael Gira attacca I Pity The Poor Immigrant tratto dall'album John Wesley Harding di Bob Dylan. Pubblicato nel 1967 in un epoca in cui il menestrello di Duluth torna a far pace con la musica folk acustica in quella lunga e prolifica stagione insieme alla Band che, tra le altre cose avrebbe portato alla pubblicazione dei Basament Tapes nel 1975 (vd qui sotto). Un disco nettamente diviso in due, così voluto per distinguere il sound delle due band. Un disco che arriva in un periodo in cui sperimentare sembrava fosse l'unica strada rimasta per il rock del nuovo secolo. Da non dimenticare. 

Ten Years After: Beth Gibbons, Rustin Man, Nick Drake, PJ Harvey, The Dream Syndicate


di RSK
Ten years after è solo un modo per parlare di dischi che mi piacciono e che in diversi momenti della mia vita hanno riempito gli spazi d'aria dell'ambiente circostante. L'anno, la data, è solo la scusa per scovare ricorrenze decennali e unire dischi che tra loro non hanno, forse, nient'altro in comune. Il fatto è che ultimamente sono fuori dal giro e le uscite settimanali anche volendo non mi permettono di approfondire gli ascolti...qualche anno fa invece la storia era diversa, il tempo a disposizione era di più e  il mercato volenti o nolenti poneva un filtro naturale, un setaccio che bloccava sul nascere molte delle offerte che oggi abbiamo facilmente a disposizione grazie a internet. Bando alle ciance: questi sono i 5 titoli del mese: consigliati, ovviamente, a quanti vogliano rifarsi i timpani dopo aver sopportato le lagne proposte da quel putrido nullafacente di Seimani.

OUT OF SEASON – 2002
Beth Gibbons – Rustin Man – UK
 

Ecco un disco che non è mai fuori stagione, i dischi belli e importanti del resto non lo sono mai. Nel 2002 i Portishead, il gruppo di cui Beth Gibbons è cantante, sono uccelli di bosco già da 4 anni (1998 data dell'imprescindibile Roseland NYC Live ). E' abbastanza strano perciò vedere una delle più importanti rappresentanti del Bristol Sound e del Trip Hop più o meno al capolinea, collaborare con uno dei responsabili della peggiore rottura di timpani e palle possibile,  come Such a Shame e menate varie (parlo dei Talk Talk e di Paul Webb), ovvero Rustin Man. Un duo apparentemente mal assortito dunque. In realtà questo disco si rivelerà la vera e propria sorpresa dell'anno. Ambiente blues per dieci splendide ballate composte da Rustin Man, alla chitarra, impreziosite da una delle migliori voci della storia recente della musica. Un disco che cresce ascolto dopo ascolto: le atmosfere rilassate e leggermente retrò fanno pensare inevitabilmente al cazzeggio casalingo delle domeniche pomeriggio d'autunno. Ma la malinconia in fondo è un vestito buono per tutte le stagioni e più di ogni altra cosa questo disco trasmette emozioni.

DRY – 1992
P.J.Harvey – UK
 

Che cosa c'entrano una ragazza britannica di nome Polly Jean e il compositore pesarese Gioacchino Rossini? Non lo so, ci sto ancora pensando a distanza di 20 anni, sta di fatto che quando nel 1992 usciva questo folgorante, grezzo, sporco e urlatissimo esordio della nostra, il sottoscritto non poteva fare a meno di tirare in causa i Crescendo Rossiniani, cioè quella tecnica che consiste nella ripetizione di alcune battute, nella quale gli strumenti entrano gradualmente, e nel contempo eseguono un crescendo dinamico, un'accelerazione ed infine un'esplosione liberatoria. In una parola Dry. Certo, paragone azzardato, ma che serve giusto per far capire la tensione emotiva persistente  di un'acerba, ma motivatissima, P.J. L' alternative rock è all'apice della sua stagione migliore; è appena esploso il grunge. Sicuramente non è il suo disco più famoso ma è l'inizio di una grande carriera che, tra alti e bassi, l'ha portata a diventare una delle indiscutibili sacerdotesse del rock.

THE DAYS OF WINE AND ROSES - 1982
The Dream Syndicate – USA
 

Quante volte negli ultimi anni avete sentito dire cose tipo: “questo disco suona come...”, “quest'altro sembra di sentire quel cantante di tanti anni fa” e stronzate varie. Un po' a causa del fatto che a volte i re-censori hanno poca fantasia, o stimoli, e un po' perché alla fine la musica sono sette note musicali e molta fascinazione. In questo caso potremmo dire lo stesso di questi giovani scapestrati di L.A che nel lontano 1982 decidono di rendere omaggio ai loro più grandi idoli: i Velvet Underground. Ovviamente siamo lontani da New York e anche dagli anni 60 perciò il risultato è un gioiello di rock psichedelico e noise-rock. Un disco per capire un' epoca e per tuffarsi nel Paisley Underground: se non ci credete ascoltatevi Halloween o When You Smile.
 
PINK MOON – 1972
Nick Drake – UK
 

"L'ho visto scritto e l'ho sentito dire 
La luna rosa sta per venire 
E voi non volate così alti 
La luna rosa vi prenderà tutti 
E' una luna rosa..."

Ecco uno dei miei dischi preferiti, pensandoci bene uno di quei dischi che ascolto quando svogliatamente non ho voglia di ascoltare niente. Sinceramente credo che, se esiste qualcosa che al giorno d'oggi possa definirsiopera d'arte, sia un disco come questo. Nick Drake lo scrisse e lo compose di getto, senza provare, quasi come dovesse comunicarlo con urgenza e non volesse sporcarne il significato profondo con registrazioni in studio come si fa per qualsiasi disco dal quale si voglia ottenere risultati soddisfacenti anche dal punto di vista tecnico. In questo senso, più di altri, Nick Drake si può definire un artista. Il disco dura appena 29 minuti e le liriche sono piene di tematiche quali amore, morte e futuro; tipiche di un ragazzo di 23 anni depresso o semplicemente di un ragazzo di 23 anni. E' sostanzialmente un disco acustico anzi forse è per eccellenza IL disco acustico, solo voce e chitarra e un'atmosfera intima e rilassata...nell'attesa di andare sulla luna!

"Puoi dire che il sole sta splendendo se proprio vuoi
Io vedo la luna e mi sembra così chiara."

THELONIUS MONK – 1962
Monk's Dream – USA
 

"Il sogno di Monk" è il primo disco di questo grande pianista jazz, considerato uno dei massimi esponenti del genere e noto per il modo unico con il quale ha interpretato lo strumento: con i cambi di ritmo, le pause e gli improvvisi svarioni con le dita che facevano sembrare le sue interpretazioni simili a quelle di un ubriaco che, rimasto solo nel locale notturno alle 5 del mattino, prenda in mano la situazione e strimpelli qualcosa per il pubblico rimasto. Se non ci credete, ascoltatevi la rivisitazione di Just a Gigolo presenti in questo disco. A parte questo suo tratto caratteristico, ormai considerato un classico, Monk nella sua lunga carriera ha collaborato con i più grandi batteristi e sax tenore del Jazz da Frankie Dunlop (presente in questo disco) a Art Blakey, da Sonny Rollins a Johnny Griffin e naturalmente John Coltrane. Il Jazz è un genere ostico, per così dire, imparare a conoscerlo ed amarlo richiede pazienza, un po' come imparare una lingua. Ecco, questo disco è un po' come l'ABC: è il modo migliore per cominciare.